di Martina Marangelli
Se provassimo a scomporre la messa in scena di “Bestia da stile” a cura del Teatro delle Bambole, otterremmo tanti elementi apparentemente sconnessi tra loro, da riproduzioni di quadri, passamontagna bianchi, una sedia a rotelle e musica psichedelica. Eppure, i pezzi del puzzle si incastrano.
Il teatro Traetta di Bitonto ha ospitato la compagnia barese nella matinée del 4 aprile che ha visto tra il pubblico principalmente studenti e insegnanti della città.
Andrea Cramarossa, regista e fondatore del Teatro delle Bambole, ha voluto condividere la sua interpretazione di una delle opere più rimaneggiate di Pasolini (dal 1965 al 1974). L’autore, solito sdoppiarsi nei suoi testi per identificarsi con figure storiche, individua in questo caso come suo alter ego la figura di Jan Palach, studente cecoslovacco che nel 1969 si diede fuoco nel centro di Praga per protestare contro i sovietici che avevano invaso la città. Nel testo, però, non mancano riferimenti autobiografici, ma soprattutto citazioni storiche e letterarie; più in generale, non mancano le parole. Ricordiamo, infatti, che nel ’68 Pasolini aveva pubblicato il “Manifesto per un nuovo teatro” proponendo, appunto, il “teatro di parola”, rivolto esclusivamente a un’élite che vuole (e può) capirlo. Il linguaggio di Bestia da stile è, infatti, quasi criptico e il discorso si trasforma spesso in una verbigerazione. A tal riguardo, Cramarossa si rivolge agli studenti a fine spettacolo domandagli “Qual è, secondo voi, il centro di quest’opera?”. Il regista si risponde da solo: “La POESIA, o meglio il poeta travagliato per la ricerca dello stile poetico.” In questo Pasolini si sente vicino a Jan Palach come vittima sacrificale: il poeta ha una responsabilità nei confronti della società, “Basta una battuta scritta male per offendere il mondo”, dice la madre dell’autore (Iula Marzulli) in un monologo.
Bestia da stile, Teatro delle Bambole, ph. Vincenzo Ardito
A proposito di parole, c’è un aspetto linguistico che risalta soprattutto nei primi due dei nove episodi della tragedia: il linguaggio è particolarmente esplicito, quasi volgare. Guardando al quadro storico più ampio, però, ci rendiamo conto che il testo è stato scritto durante anni di rivoluzione sì politica, ma anche sessuale. Addirittura, il ruolo centrale della sessualità diventa una questione poetica e di presa di coscienza di sé attraverso la liberazione del corpo; e se nel testo pasoliniano questo avviene durante riti orgiastici propiziatori, Cramarossa trasforma il tutto in un ballo sfrenato a luci stroboscopiche e musica techno nella scena più coinvolgente, soprattutto per un pubblico giovane.
Questa è stata l’azione che il regista ha dovuto compiere: convertire le parole in immagini, attraverso quegli elementi apparentemente sconnessi di cui parlavamo all’inizio: la recitazione, caratterizzata dalla ripetizione di gesti quasi all’ossessione, le maschere a forma di teste di uccelli, ma anche un viso umano azzurro; la scenografia, in cui compaiono la riproduzione de “La libertà che guida il popolo” di Delacroix, delle croci rosse, per finire con uno scontro tra Capitale e Rivoluzione sul cadavere di Jan Palach.
Cramarossa conclude con una giusta affermazione: portare Pasolini a teatro è un’impresa, un esperimento che si fa con il pubblico, e in questo caso potremmo dire che l’esperimento è riuscito.
Bestia da stile, Teatro delle Bambole, ph. Giuseppe Milano
Canto della Parola: Pier Paolo Pasolini.
Canto del Popolo: Emilia Brescia, Giovanni Di Lonardo, Rossella Giugliano,
Federico Gobbi, Iula Marzulli, Domenico Piscopo, Ilaria Ricci, Maurizio Sarni.
Canto delle Vesti: Silvia Cramarossa.
Mascheratopia: Federico Gobbi.
Disegno Luci: Roberto De Bellis.
Canto della Messa in Scena: Andrea Cramarossa.
Casa Madre: Teatro delle Bambole.
Progetto di ricerca: Nella Terra di Mezzo – IV approdo. Le parole di Pasolini.
In collaborazione con OTSE – Officine Theatrikés Salento Ellàda.