KOKORO (versione site specific)
‘Kokoro’ è una singola parola giapponese che possiamo tradurre come il nostro ‘essere interiore’ ma che letteralmente abbraccia due parole/concetti, quali ‘la mente’ e ‘il cuore’. Questo assolo è la personale ricerca di un unicità dell’essere, un percorso interiore divenuto percorso fisico nello lo spazio, durante il quale il corpo nudo, attraverso la sua esposizione e specifica architettura, si trasfigura e diviene veicolo poetico facendo emergere immagini appartenenti e non ad un ‘mondo irreale’. Queste immagini, radicate nella coscienza collettiva, si sublimano nel racconto di un’esperienza personale, per poi tramutare questa stessa, attraverso la scena, in un’esperienza collettiva.
a seguire
SLOWBURNER
Siamo come i pianeti del cosmo, che anche nello stato di immobilità ottica si muovono gli uni intorno agli altri e sono collegati da forze fisiche indissolubili. Solo ingrandendo l’immagine si possono percepire i legami e i fili invisibili che mantengono tutto unito. Non c’è alto senza basso, non c’è movimento senza contro-movimento. Fuggendo, non si risolvere niente. Le forze che rompono l’equilibrio, che compromettono la stabilità, non scompariranno negando la loro esistenza, continueranno a tirarci e a spingerci selvaggiamente nello spazio. L’empatia può diventare la nostra gravità e portarci a un equilibrio, in cui gireremo intorno l’uno all’altro come le galassie incommensurabilmente grandi dell’universo. Attraverso sequenze esigenti, movimenti e prese impegnative, i due danzatori costruiscono una condizione di dipendenza da cui uno non può prescindere dall’altro, provando non solo la lotta fisica ma anche la liberazione attraverso l’unione.
KOKORO (versione site specific)
‘Kokoro’ è una singola parola giapponese che possiamo tradurre come il nostro ‘essere interiore’ ma che letteralmente abbraccia due parole/concetti, quali ‘la mente’ e ‘il cuore’. Questo assolo è la personale ricerca di un unicità dell’essere, un percorso interiore divenuto percorso fisico nello lo spazio, durante il quale il corpo nudo, attraverso la sua esposizione e specifica architettura, si trasfigura e diviene veicolo poetico facendo emergere immagini appartenenti e non ad un ‘mondo irreale’. Queste immagini, radicate nella coscienza collettiva, si sublimano nel racconto di un’esperienza personale, per poi tramutare questa stessa, attraverso la scena, in un’esperienza collettiva.
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Siamo come i pianeti del cosmo, che anche nello stato di immobilità ottica si muovono gli uni intorno agli altri e sono collegati da forze fisiche indissolubili. Solo ingrandendo l’immagine si possono percepire i legami e i fili invisibili che mantengono tutto unito. Non c’è alto senza basso, non c’è movimento senza contro-movimento. Fuggendo, non si risolvere niente. Le forze che rompono l’equilibrio, che compromettono la stabilità, non scompariranno negando la loro esistenza, continueranno a tirarci e a spingerci selvaggiamente nello spazio. L’empatia può diventare la nostra gravità e portarci a un equilibrio, in cui gireremo intorno l’uno all’altro come le galassie incommensurabilmente grandi dell’universo. Attraverso sequenze esigenti, movimenti e prese impegnative, i due danzatori costruiscono una condizione di dipendenza da cui uno non può prescindere dall’altro, provando non solo la lotta fisica ma anche la liberazione attraverso l’unione.
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