Nella Sala Bordone della Pinacoteca di Vienna, un uomo – un musicologo – si siede e guarda un
famoso quadro di Tintoretto. Scopriremo che compie questo rito, ogni due giorni, da più di
trent’anni. Un secondo uomo – uno scrittore – più giovane, osserva il primo uomo che guarda il
quadro. Un terzo uomo — uno dei custodi della Pinacoteca — osserva entrambi.
È questo il diagramma del romanzo Antichi Maestri, qui trasformato da Fabrizio Sinisi e Federico
Tiezzi (già pluripremiato per il bernhardiano L’apparenza inganna) in un vero e proprio studio
teatrale sulla funzione dell’arte, i limiti della bellezza, la nevrosi della modernità, l’angoscia
della solitudine.
«Ho immaginato uno spettacolo sul vedere, sulla visibilità – scrive Federico Tiezzi – ho voluto
riflettere, analizzare attraverso questo racconto mirabile i procedimenti della visione teatrale,
elemento centrale del nostro linguaggio. Di quadro sempre si tratta, anche se scenico. Fare teatro
interrogandomi nello stesso momento sul linguaggio del teatro. Come fece Chopin, attraverso i suoi
Études, in cui venivano analizzate le possibilità tonali e armoniche del pianoforte, facendo musica.
Come fece Seurat in pittura attraverso il pointillisme. Fu Franco Quadri, molti anni fa, a suggerirmi
il romanzo di Bernhard, sapendo della mia formazione storico-artistica. A lui, a quasi dieci anni
dalla scomparsa, questo spettacolo è idealmente dedicato».
Nella Sala Bordone della Pinacoteca di Vienna, un uomo – un musicologo – si siede e guarda un
famoso quadro di Tintoretto. Scopriremo che compie questo rito, ogni due giorni, da più di
trent’anni. Un secondo uomo – uno scrittore – più giovane, osserva il primo uomo che guarda il
quadro. Un terzo uomo — uno dei custodi della Pinacoteca — osserva entrambi.
È questo il diagramma del romanzo Antichi Maestri, qui trasformato da Fabrizio Sinisi e Federico
Tiezzi (già pluripremiato per il bernhardiano L’apparenza inganna) in un vero e proprio studio
teatrale sulla funzione dell’arte, i limiti della bellezza, la nevrosi della modernità, l’angoscia
della solitudine.
«Ho immaginato uno spettacolo sul vedere, sulla visibilità – scrive Federico Tiezzi – ho voluto
riflettere, analizzare attraverso questo racconto mirabile i procedimenti della visione teatrale,
elemento centrale del nostro linguaggio. Di quadro sempre si tratta, anche se scenico. Fare teatro
interrogandomi nello stesso momento sul linguaggio del teatro. Come fece Chopin, attraverso i suoi
Études, in cui venivano analizzate le possibilità tonali e armoniche del pianoforte, facendo musica.
Come fece Seurat in pittura attraverso il pointillisme. Fu Franco Quadri, molti anni fa, a suggerirmi
il romanzo di Bernhard, sapendo della mia formazione storico-artistica. A lui, a quasi dieci anni
dalla scomparsa, questo spettacolo è idealmente dedicato».
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