Come suggerisce Carmelo Alberti, Bestia da stile è un esperimento di teatro totale, una forma-dramma che si muove tra coordinate multiple tra mito e contemporaneità, tra vita poetica e storia delle società, tra soggettività e populismo. Il dramma segue le vicende del giovane studente di filosofia Jan Palach, il dissidente cecoslovacco che il 16 gennaio 1969 nella piazza San Venceslao di Praga si diede fuoco per protesta contro l’invasione sovietica, che aveva posto fine il 20 agosto del 1968 alla stagione riformatrice della “Primavera di Praga” di Alexander Dubček. Dopo un’agonia di tre giorni, in cui Palach rimase lucido in mezzo ad atroci dolori, si celebrarono i funerali, seguiti da 600.000 persone. Nella messa in scena, è il suono a dirigere le dinamiche agite dagli attori. Suono delle parole poetiche, memorie di altre parole che sono state l’impalcatura di una vita intera, di parole dette e ascoltate, parole della guerra e della natura, della Rivoluzione e della Libertà. Il testo di Pasolini, tessitura densa dei legami determinati dalle catene di parole, dove ciascuna parola e molteplicità d’altre parole, riproduce incessantemente suoni su suoni, in una sovrapposizione di forme significanti, a volte, ineludibile, come in una partitura di Henri Chopin, dove i “suoni dal corpo” sono rigurgiti delle profondità dell’anima. In questa speleologia sonora, dove la significazione è il risultato di un conflitto, noi scopriamo la vera essenza di un ideale, dalle parole di un testo autobiografico che è stato scritto come una tragedia greca, insorgendo contro la perdita di senso esistenziale, per il sogno di conquista della Libertà, quale opposizione al Capitalismo consumistico che, oggi, ci trascina nel suo gorgo inarrestabile, trasformandoci e “cambiando di stato”, fisicamente, ineluttabilmente, passando attraverso il fuoco nel cambio di materia che ci renderà immortali.
Come suggerisce Carmelo Alberti, Bestia da stile è un esperimento di teatro totale, una forma-dramma che si muove tra coordinate multiple tra mito e contemporaneità, tra vita poetica e storia delle società, tra soggettività e populismo. Il dramma segue le vicende del giovane studente di filosofia Jan Palach, il dissidente cecoslovacco che il 16 gennaio 1969 nella piazza San Venceslao di Praga si diede fuoco per protesta contro l’invasione sovietica, che aveva posto fine il 20 agosto del 1968 alla stagione riformatrice della “Primavera di Praga” di Alexander Dubček. Dopo un’agonia di tre giorni, in cui Palach rimase lucido in mezzo ad atroci dolori, si celebrarono i funerali, seguiti da 600.000 persone. Nella messa in scena, è il suono a dirigere le dinamiche agite dagli attori. Suono delle parole poetiche, memorie di altre parole che sono state l’impalcatura di una vita intera, di parole dette e ascoltate, parole della guerra e della natura, della Rivoluzione e della Libertà. Il testo di Pasolini, tessitura densa dei legami determinati dalle catene di parole, dove ciascuna parola e molteplicità d’altre parole, riproduce incessantemente suoni su suoni, in una sovrapposizione di forme significanti, a volte, ineludibile, come in una partitura di Henri Chopin, dove i “suoni dal corpo” sono rigurgiti delle profondità dell’anima. In questa speleologia sonora, dove la significazione è il risultato di un conflitto, noi scopriamo la vera essenza di un ideale, dalle parole di un testo autobiografico che è stato scritto come una tragedia greca, insorgendo contro la perdita di senso esistenziale, per il sogno di conquista della Libertà, quale opposizione al Capitalismo consumistico che, oggi, ci trascina nel suo gorgo inarrestabile, trasformandoci e “cambiando di stato”, fisicamente, ineluttabilmente, passando attraverso il fuoco nel cambio di materia che ci renderà immortali.
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