DUO D’EDEN
“Due corpi, come nudi, avanzano in scena, si avvinghiano l’uno all’altro e non si lasciano più. Un uomo e una donna con i corpi che si attirano e si aggrappano, congiunti l’uno all’altro fino a diventare indissolubili. Lei, una liana che si avvolge, si attorciglia. Lui che la tiene, la ritiene, la sostiene. C’è qualcosa di mitico nella loro danza, in questa fusione totale di due esseri che diventano uno per non separarsi più. Eden è l’amore originale, quello dei tempi dell’innocenza. C’è anche qualcosa di crudo e di primitivo, in questo duo. L’immagine dei rumori delle cascate e di temporali che compongono il suono della danza. Eden è una danza piena di forza e di bellezza, forse a causa di ciò che di naturale si sprigiona dal movimento della purezza e dalla precisione del gesto, dalle figure quasi plastiche, dalla potenza dei corpi. È da lì che sorge l’emozione. Da questa sobrietà che rivela l’essenziale. Se l’amore è una danza, è sicuramente Eden. Yasmine Tigoe
GROSSE FUGUE
Quattro donne e un brano musicale straordinario come Die Grosse Fuge: la personale lettura di Maguy Marin dell’opera di Ludwig van Beethoven, considerata una pietra miliare del rapporto tra musica classica e danza contemporanea, si basa su un dialogo costante, intimo, tra danza e musica, su un profondo legame tra le due arti. Realizzata nel 2001 per la C.ie Maguy Marin, viene riproposta nell’interpretazione di quattro danzatrici della MM Contemporary Dance Company: dall’incontro tra le quattro donne e la musica prende forma una complessità tra la crescente forza vitale dell’essere femminile e lo stato di entusiasmo e disperazione di questa partitura. La danza diventa un’esplosione euforica di energia, dove le quattro interpreti, vestite di rosso, in un’alternanza quasi frenetica, saltano, corrono, si accasciano, si risollevano in un turbine vitale e frenetico. Una metafora della vita che diventa vortice e gara emozionante contro la morte, dove la vertigine della fine stessa ci porta a voler sempre correre all’impazzata senza fiato, a vivere ogni momento come se fosse l’ultimo istante.
WEIRDO
Il senso di inadeguatezza: l’unico, vero ostacolo di qualunque forma di rapporto, compreso quello con se stessi. Chi, nella propria vita, non ne è mai stato pervaso? Quella particolare sensazione di sentirsi fuori posto, diverso, a volte sbagliato, giudicato, e spesso anche incompreso. Ci si può sentire come immersi nella nebbia, o come se ci fosse un velo o una parete di vetro tra sé e il mondo circostante. Spesso questo stato deriva dalla voglia di soddisfare le aspettative degli altri. Sentire tutto l’enorme peso del rischio, della paura di fallire e del giudizio, del vedersi come un incapace, un impostore, una delusione. Partendo da queste sensazioni Enrico Morelli presenta un brano che vuole portare sulla scena questo stato di alienazione prendendo ispirazione non solo dal suo vissuto personale, ma anche da quello degli interpreti.
DUO D’EDEN
“Due corpi, come nudi, avanzano in scena, si avvinghiano l’uno all’altro e non si lasciano più. Un uomo e una donna con i corpi che si attirano e si aggrappano, congiunti l’uno all’altro fino a diventare indissolubili. Lei, una liana che si avvolge, si attorciglia. Lui che la tiene, la ritiene, la sostiene. C’è qualcosa di mitico nella loro danza, in questa fusione totale di due esseri che diventano uno per non separarsi più. Eden è l’amore originale, quello dei tempi dell’innocenza. C’è anche qualcosa di crudo e di primitivo, in questo duo. L’immagine dei rumori delle cascate e di temporali che compongono il suono della danza. Eden è una danza piena di forza e di bellezza, forse a causa di ciò che di naturale si sprigiona dal movimento della purezza e dalla precisione del gesto, dalle figure quasi plastiche, dalla potenza dei corpi. È da lì che sorge l’emozione. Da questa sobrietà che rivela l’essenziale. Se l’amore è una danza, è sicuramente Eden. Yasmine Tigoe
GROSSE FUGUE
Quattro donne e un brano musicale straordinario come Die Grosse Fuge: la personale lettura di Maguy Marin dell’opera di Ludwig van Beethoven, considerata una pietra miliare del rapporto tra musica classica e danza contemporanea, si basa su un dialogo costante, intimo, tra danza e musica, su un profondo legame tra le due arti. Realizzata nel 2001 per la C.ie Maguy Marin, viene riproposta nell’interpretazione di quattro danzatrici della MM Contemporary Dance Company: dall’incontro tra le quattro donne e la musica prende forma una complessità tra la crescente forza vitale dell’essere femminile e lo stato di entusiasmo e disperazione di questa partitura. La danza diventa un’esplosione euforica di energia, dove le quattro interpreti, vestite di rosso, in un’alternanza quasi frenetica, saltano, corrono, si accasciano, si risollevano in un turbine vitale e frenetico. Una metafora della vita che diventa vortice e gara emozionante contro la morte, dove la vertigine della fine stessa ci porta a voler sempre correre all’impazzata senza fiato, a vivere ogni momento come se fosse l’ultimo istante.
WEIRDO
Il senso di inadeguatezza: l’unico, vero ostacolo di qualunque forma di rapporto, compreso quello con se stessi. Chi, nella propria vita, non ne è mai stato pervaso? Quella particolare sensazione di sentirsi fuori posto, diverso, a volte sbagliato, giudicato, e spesso anche incompreso. Ci si può sentire come immersi nella nebbia, o come se ci fosse un velo o una parete di vetro tra sé e il mondo circostante. Spesso questo stato deriva dalla voglia di soddisfare le aspettative degli altri. Sentire tutto l’enorme peso del rischio, della paura di fallire e del giudizio, del vedersi come un incapace, un impostore, una delusione. Partendo da queste sensazioni Enrico Morelli presenta un brano che vuole portare sulla scena questo stato di alienazione prendendo ispirazione non solo dal suo vissuto personale, ma anche da quello degli interpreti.
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