«Questa è la storia di uno spettacolo nato di traverso e quasi nostro malgrado: è la storia di un migrante ma non è una storia di migrazione; è lastoria di un padre ma non è una storia di paternità; è la storia di un figlio ma non è una storia familiare; è la storia di una personapsicologicamente fragile ma non è una storia di depressione. È anche la storia di noi e di cosa significa fare teatro, oggi. Oggi, Italia 2020. Edi cosa significa il nostro lavoro, sempre che di un lavoro si tratti visto che non è mai semplice spiegare chi siamo, cosa facciamo e perché.Nemmeno a noi stessi» (Nicola Bonazzi e Micaela Casalboni).
Il nuovo spettacolo del Teatro dell’Argine prende le mosse da una storia vera ma incredibile: la storia di un ragazzo africano dalla vicenda familiare complessa e rocambolesca, vicenda che lui prima insegue, poi rifugge, poi è costretto ad indagare perché «noi siamo quello che siamo grazie alla nostra storia». La vicenda di Sekou (nome di fantasia) si snoda in parallelo a quella dell’attrice che la racconta e che in quel racconto si rispecchia e si interroga, tra ricordi, dubbi, battute di spirito e riflessioni sul meraviglioso mestiere che esercita e che però sembra non dare più risposte, soprattutto in quest’ultimo periodo, in corrispondenza di una pandemia che pare aver azzerato il senso del teatro e di chi lo pratica professionalmente.
«Questa è la storia di uno spettacolo nato di traverso e quasi nostro malgrado: è la storia di un migrante ma non è una storia di migrazione; è lastoria di un padre ma non è una storia di paternità; è la storia di un figlio ma non è una storia familiare; è la storia di una personapsicologicamente fragile ma non è una storia di depressione. È anche la storia di noi e di cosa significa fare teatro, oggi. Oggi, Italia 2020. Edi cosa significa il nostro lavoro, sempre che di un lavoro si tratti visto che non è mai semplice spiegare chi siamo, cosa facciamo e perché.Nemmeno a noi stessi» (Nicola Bonazzi e Micaela Casalboni).
Il nuovo spettacolo del Teatro dell’Argine prende le mosse da una storia vera ma incredibile: la storia di un ragazzo africano dalla vicenda familiare complessa e rocambolesca, vicenda che lui prima insegue, poi rifugge, poi è costretto ad indagare perché «noi siamo quello che siamo grazie alla nostra storia». La vicenda di Sekou (nome di fantasia) si snoda in parallelo a quella dell’attrice che la racconta e che in quel racconto si rispecchia e si interroga, tra ricordi, dubbi, battute di spirito e riflessioni sul meraviglioso mestiere che esercita e che però sembra non dare più risposte, soprattutto in quest’ultimo periodo, in corrispondenza di una pandemia che pare aver azzerato il senso del teatro e di chi lo pratica professionalmente.
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