Si parla d’amore ne “La Locandiera” ma non di un amore romantico, non passionale, non tormentato, né giurato per l’eternità. Si parla di un amore per gioco, per il gusto di catturare senza farsi catturare, per autoaffermazione.
Mirandolina, donna di carattere deciso e levantino, abituata in una città di mare a trattare con gente di ogni tipo, pur dovendo sostenere la responsabilità di una locanda, trovava il tempo di giocare con la sua prorompente femminilità. Ogni avventore della sua locanda diventava preda dei suoi giochi d’amore. Rocco, il suo servo fedele, assisteva allo sbocciare e allo sfiorire di tutti questi amoretti, con l’eterna speranza di averla un giorno come sposa.
Nella locanda di Mirandolina si fermarono anche il Marchese di Montone ed il Conte di Canneto, acerrimi nemici da sempre, per via di un’antica rivalità fra i due paesi che rappresentavano. Toccò anche a loro di innamorarsi di Mirandolina, e quella che era una reciproca antipatia, divenne una guerra all’ultimo smacco per poter entrare nelle grazie della locandiera.
Si fermò poi, anche un Cavaliere venuto da Bitonto, che invece aveva una certa repulsione per le donne. E proprio con lui, Mirandolina sfoderò tutte le sue armi per farlo cadere nella trappola d’amore.
In tutto questo, un’attrice di passaggio da Bari, si fermò ad alloggiare nella locanda e, fingendosi nobildonna si divertì a spupazzarsi il Conte ed il Marchese, distraendoli per un po’ dalle attenzioni verso Mirandolina.
Questa è la storia che ci ha raccontato Goldoni e l’Anonima G.R. oggi la ripropone seguendo fedelmente la trama ma cercando di rendere compatibili i ritmi del testo originale, con quelli frenetici del nostro vivere e soprattutto riscoprendo quei sentimenti semplici dell’individuo, quella ricchezza di emozioni che la società oggi ha quasi espropriato, sostituendola con valori artificiali e senza contenuti.