FRATERNITÀ

Delle tre parole simbolo della rivoluzione francese, –libertà, uguaglianza e fraternità– la terza è stata senza dubbio la meno fortunata. Eppure, proprio la fraternità è quella che può dare sostanza etica alle altre due. La libertà può essere instaurata. L’uguaglianza imposta. La fraternità, invece, non si stabilisce con una legge, né può essere decretata dallo Stato. Essa nasce da un’esperienza personale di solidarietà e di responsabilità. Da sola, la libertà uccide l’uguaglianza e l’uguaglianza imposta come unico principio distrugge la libertà. Solamente la fraternità permette di mantenere la libertà, continuando però la lotta per sopprimere le disuguaglianze. Libertà e uguaglianza riguardano la sfera dei diritti dell’individuo, mentre la fraternità è un valore intrinseco di una convivenza. Insomma, non c’è fraternità del singolo, per vivere la fraternità occorre sempre che ci sia l’altro e che si instauri la relazione, che resta la nostra vocazione primaria.

COME CAMBIERANNO LE NOSTRE CITTÀ. ESERCIZI DI IMMAGINAZIONE

Le nostre città si allagano per le alluvioni sempre più spesso? Oppure conoscono siccità e ondate di calore? Sono piene di turisti oppure vengono abbandonate? Sono frenetiche e piene di traffico oppure spente e senza negozi? È nelle città che si giocherà la nostra vita futura: serve coraggio e immaginazione per immaginare insieme altri modi di abitare, di lavorare, di muoverci, di divertirci. Con uno sguardo a quello che accade nel mondo, in cerca di nuove strade possibili. 

IVAN O ALIOSHA? HOBBES O ROUSSEAU? L’UOMO È LUPO AGLI ALTRI UOMINI O È UN BUON SELVAGGIO?

Partendo dalle riflessioni sui suoi rapporti con il bene e con il male, Dostoevskij ci sfida a capire chi è l’essere umano (e magari a fare anche qualche riflessione su Dio). Perché esiste il male, e perché lo facciamo spesso volentieri? Possiamo indirizzarci al bene, e quale strada occorre seguire per farlo? Quanto è difficile scegliere tra il bene ed il male? Preferiamo essere liberi o ci sta bene che qualcuno scelga per noi?

PENALITÀ E GIUSTIZIA RIPARATIVA: MA RIPARARE CHE COSA?

In tempi di populismo penale e di “marcire in galera”, una strada possibile per una giustizia penale più conforme alla nostra Costituzione è sembrata essere la giustizia riparativa. Un “nuovo” paradigma della penalità che mette al centro del rituale giudiziario la vittima e la comunità entro la quale il reato è stato commesso. Si tratta veramente qualcosa di nuovo o riemergono invece pulsioni emotive del passato? Gli illuministi, in primis Cesare Beccaria, avevano provato ad introdurre nella penalità moderna elementi di fredda razionalità con cui legittimare il monopolio della giustizia statuale, controllata dai principi del garantismo penale. Oggi quella freddezza non ci pare sufficiente a placare quella calda “passione del punire” di cui ci ha parlato Didier Fassin. Una di quelle “passioni tristi” ormai dominanti nella società occidentale, transitata dal futuro-promessa al futuro-minaccia, che possono snaturare una giustizia riparativa che non abbia ben chiaro che cosa occorre riparare, nel senso latino del repatriare, tornare in patria, al sicuro.

PALESTINA: MALEDETTA “TERRA SANTA”

Lo slogan con cui il sionismo si presentò al mondo fu programmatico: «Una terra senza popolo per un popolo senza terra». Ma in quella terra, la Palestina mandataria, un popolo c’era. Coerentemente, il primo atto dell’appena costituito “Stato degli ebrei” (definizione di Theodor Herzl) fu la “Nakba”, l’espulsione violenta di 750.000 palestinesi dalle loro case, dalle loro terre, dai loro ulivi, dalle loro topografie esistenziali fisiche ed emotive con la distruzione di quasi 500 villaggi. Quei palestinesi finirono nei campi profughi della Striscia di Gaza e quella fu una pulizia etnica compiuta dal governo laburista con a capo David Ben-Gurion, padre della patria israeliana.Nel mondo quell’esordio fu ammantato dalla hasbarah, la micidiale propaganda israeliana, e dalla rete delle menzogne vittimistiche e intimidatorie che quasi nessuno osava penetrare, perché quegli ebrei venivano dall’immane catastrofe della Shoah, di cui però i palestinesi non avevano la benché minima responsabilità. I governi sionisti scelgono la cultura delle armi più distruttive, per dominare, opprimere e terrorizzare il popolo più solo del mondo e sterminare migliaia di donne e bambini, i più fragili, quell’umanità indifesa che i profeti di Israele incitano a proteggere combattendo al loro fianco. Un monito rivolto anche e soprattutto agli ebrei della diaspora perché ritrovino la loro indipendenza e la loro onestà intellettuale. L’esilio è la dimensione principe dell’ebraismo, perché esso è germinato nella libertà dell’esilio e ha dato il meglio di sé nella libertà dai confini.   Anche la Terra Promessa dovrebbe essere terra dell’esilio dove imparare a vivere da straniero tra gli stranieri.  

MY FAVORITE WINGS

Di Roberto Taufic, grande chitarrista brasiliano, Guinga dice: “Un chitarrista raro, totalmente posseduto dall’arte; suona la “musica delle note”, comunica con l’invisibile; in un evento profondamente toccante in cui tutto dipende dalla chitarra come interprete di parole che sembrerebbero impossibili da pronunciare da uno strumento”. Per il Dizionario del Jazz Italiano, Vincenzo Abbracciante è invece “la stella nascente della fisarmonica in Italia, dotato di una tecnica notevole, un senso profondo del blues e dello swing” e “padroneggia la fisarmonica come pochi e suona con talento qualsiasi genere musicale”. In questo trio i due si ritrovano assieme al bassista e compositore Pierluigi Balducci a formare un trio che voli alto, con le ali della musica: la Musica come un filo che ci tiene legati al cielo, come colore e poesia, come ricerca di senso nell’armonia dell’universo. Balducci è “un leader di quelli che non invadono mai: la sua musica è suonata in modo corale, seppur la sua prosodia si ascolta con chiarezza, per il suono pastoso ed il groove sempre in vista…” (A. Ayroldi, Musica Jazz). “Balducci, bassista elettrico, è un musicista che sul suo strumento, “inventato” da Pastorius e Steve Swallow, ha pochi rivali: tocco mobile e flessuoso, intelligenza nelle composizioni…” (G. Festinese, Il manifesto)

BLINDING SPHERE 3

Blinding Sphere è un power trio creativo, tecnico e muscolare, che non ha paura di “contaminare” la tradizione afroamericana con le sonorità pietrose derivate principalmente dal rock. Il progetto mette in luce diversi background personali, tutti sotto l’egida di una forte componente afro occidentale e dell’impatto improvvisativo che questa musica (forse l’unica al mondo) può offrire. Una formazione che non ha bisogno di un leader, lontano dalla solita concezione front/side.

STRINGOLOGY

Stringology è l’ultima affascinante creazione musicale del violinista jazz Luca Ciarla. Con Iacopo Schiavo alla chitarra acustica e all’oud e Federico Rondolini alla chitarra jazz, il trio presenta inusuali combinazioni timbriche, tipiche degli strumenti a corda. Con un repertorio incentrato su musica originale di impronta italiana e mediterranea, Stringology amplia gli orizzonti con convincenti arrangiamenti, strizzando l’occhio al gypsy jazz e alle tradizioni sudamericane. Violinista creativo e sorprendente, Luca Ciarla supera agilmente i confini tra i generi per tracciare un percorso musicale innovativo, una magica seduzione acustica in perfetto equilibrio tra scrittura e improvvisazione, tradizione e contemporaneità.

NATIVE LANGUAGE

Uno stile unico, inconfondibile, quello di Condorelli, tra i massimi esponenti italiani della chitarra jazz. Il suo è un linguaggio musicale che suona nuovo e familiare allo stesso tempo, che affonda le radici nella tradizione jazzistica sedimentatasi nel secolo scorso ma che è proiettato al futuro, in un lavoro costante fatto di studio, ricerca e sperimentazione. Una “lingua madre” che lui ha imparato a riconoscere sin da bambino, che ha amato per tutta la vita e che oggi padroneggia con disinvoltura e maestria. Il suo approccio pianistico alla chitarra, suonata contemporaneamente come strumento armonico, melodico e ritmico, fa di lui l’unico vero rappresentante in Italia della scuola chitarristica che ha visto in Barney Kessel e Joe Pass i suoi più illustri punti di riferimento.

TO MY RAY OF LIGHT: A SPECIAL THANKS TO RAY BROWN

In un viaggio sonoro che celebra le radici e l’evoluzione del jazz, nasce “To my Ray of light: a special thanks to Ray Brown”, un progetto che riunisce tre talentuosi musicisti: il contrabbassista Giuseppe Venezia guida il gruppo con una profonda passione per la tradizione ma sempre con lo sguardo proteso alle sonorità attuali, una chitarra che intreccia melodie evocative e una batteria che pulsa di ritmo e dinamismo. Questo progetto non è solo un omaggio al leggendario Ray Brown, ma un’esplorazione creativa delle sue influenze e del suo inestimabile contributo al mondo del jazz.